mercoledì 14 ottobre 2009
Attivisti saharawi "sotto tiro" per la loro visita a Tinduf
Amnesty International ha motivo di temere per l'incolumità di sette attivisti saharauis, arrestati e la detenuti in stato di incomunicabilità, contro cui potrebbero esserci false accuse. L'organizzazione chiede che siano liberati immediatamente: sono stati fermati unicamente perchè esprimono il loro appoggio all'autodeterminazione del popolo saharaui, in modo pacifico.
Ahmed Alansari, Brahim Dahane, Yahdih Ettarouzi, Saleh Labihi, Dakja Lashgar, Rachid Sghir ed Ali Salem Tamek sono stati fermati all’ 13:30 circa del pomeriggio dell’ 8 ottobre nell'aeroporto Mohamed V di Casablanca mentre tornavano dall'Algeria, dove avevano visitato gli accampamenti di Tinduf tra il 26 di settembre ed il 8 ottobre. Secondo i referti, sono stati arrestati non appena sono scesi dall’aereo.
I sette appartengono a varie organizzazioni di diritti umani e di altri gruppi della società civile, compresa la sezione saharauis dell'Associazione Marocchina dei Diritti umani, l'Associazione Saharaui dellei Vittime di Violazioni Gravi dei Diritti umani Commesse dallo Stato Marocchino (ASVDH) ed il Collettivo dei Difensori Saharauis dei Diritti umani (CODESA).
Molti di loro hanno lunghe esperienze di controllo e denuncia delle violazioni dei diritti umani nel Sahara Occidentale. Due di loro sono scomparsi per anni dopo l'arresto, come Dakja Lashgar, l'unica donna del gruppo, e Brahim Dahane sparito nel 1980 e rimesso in libertà nel 1991. Quattro sono stati nella prigione, tra questi Ali Salem Tamek, adottato da Amnesty International come "carcerato di coscienza".
L'agenzia ufficiale di notizie marocchina, in un comunicato emesso l’8 ottobre 2009, ha diffuso la notizia che il Procuratore Generale della Corona del Tribunale di Appello di Casablanca ordinava il trasferimento dei sette attivisti davanti alla polizia giuridica.
Nello stesso comunicato spiegava che gli attivisti erano stati fermati perché si erano riuniti con "organizzazioni di opposizione al Regno" tradendo l'interesse nazionale, alludendo probabilmente ai colloqui dei detenuti con rappresentanti del Fronte Polisario, meiatori del governo autoproclamato in esilio negli accampamenti di Tinduf. Secondo le relazioni i sette hanno partecipato a varie conferenze e iniziative organizzate per questa causa. Tutte queste azioni sono da considerare un esercizio pacifico e legittimo della libertà di espressione, associazione e riunione, garantita delle leggi e norme internazionali.
Le autorità marocchine non hanno informato i parenti della detenzione se non quattro giorni dopo, nelle prime ore della notte del 12 di ottobre, violando l'articolo 67 del Codice di Procedura Penale del Marocco ("[...] La polizia giudiziale deve notificare alla famiglia di un sospetto la sua situazione non appena decide di passare alla carcerazione preventiva garde à vue [...]). Inoltre, ai parenti è stato detto che non potevano visitare i detenuti proprio perchè in fermo preventivo, confermando i timori che il caso venga considerato in relazione alla sicurezza interna o esterna dello Stato. In questo caso, e secondo l'articolo 33 del Codice di Procedura Penale, la detenzione preventiva potrebbe durare un massimo di otto giorni, in attesa dell'autorizzazione della Procura Generale.
Amnesty International teme anche per la famiglia di un detenuto, che pare sia stata frustata dopo l'arresto del familiare. Nelle ultime ora della notte dell’11 di ottobre, poliziotti ed agenti delle forze ausiliari hanno circondato la casa di Ahmed Alansari, nel quartiere di Salam di Smara ostacolando perfino l'entrata ai parenti. Biba Lala Salkha, moglie di Ahmed Alansari, ha subito molestie verbaliè stata da agenti delle forze di sicurezza. L’11 ottobre si è recata presso la Procura Generale di Smara per presentare denuncia per la detenzione di suo marito e la forte presenza poliziesca davanti al suo domicilio, ma l'esposto non è stato accettato. Insieme ai suoi due figli maggiori hanno iniziato uno sciopero della fame di 48 ore il 12 di ottobre protestando per le persecuzioni di cui sono vittima.
Amnesty International richiede alle autorità marocchine di infomare circa l'esatta ubicazione dove i sette attisti sono attualmente detenuti, in custodia alla polizia giudiziale di Casablanca e che permettano loro di ricevere la visita dei parenti e degli avvocati nonchè le adeguate cure mediche.
Informazione complementare
L’arresto dei sette saharauis è avvenuta in un clima generale di incitamento contro gli attivisti dei mezzi di comunicazione marocchini e dei vari partiti politici che li tacciano di "traditori" ed in alcuni casi chiedono che siano puniti. Le visite familiari tra il Sahara Occidentale e gli accampamenti di Tinduf, nel sud-ovest dell'Algeria, si realizzano sotto la supervisione dell'ACNUR: gli attivisti saharauis hanno visitato già l'Algeria in precedenza.
In questa situazione si viola regolarmente anche il diritto ad uscire dal paese (articolo 12 del Patto Internazionale dei Diritti Civili e Politici, del quale il Marocco è stato aderente, che garantisce la libertà di circolazione). Per esempio, il 6 ottobre è stato impedito di andare in Mauritania a cinque attivisti saharauis. Dopo lunghi interrogatori e il sequestro dei documenti sono stati rilasciati senza nessuna spiegazione ufficiale sul perché non potessero recarsi in Mauritania.
Per le autorità marocchine, esprimersi pubblicamente a favore della legittima indipendenza saharaui dal Regno, continua ad essere un tabù nel Sahara Occidentale. Essi non perseguitano solo gli attivisti saharauis che chiedono l'autodeterminazione del territorio, ma anche con i difensori dei diritti umani saharauis che vigilano sulle violazioni dei diritti umani: sono continuamente intimiditi e fustigati fino ad essere processati.
Un ulteriore ostacolo al loro lavoro è l'impossibilità di iscrivere legalmente le organizzazioni per ritardi amministrativi dietro cui si nascondono i motivi politici.
In molte occasioni Amnesty International ha chiesto alle autorità del Marocco di garantire il pieno rispetto alla libertà di espressione, di associazione e riunione per tutti i saharauis. Questo è il diritto internazionale, lo stesso a cui si riferisce il Patto Internazionale dei Diritti Civili e Politici. Amnesty ha sollecitato che le autorità marocchine permettano ai difensori dei diritti umani saharauis di raccogliere e diffondere informazioni e opinioni senza paura di essere processati, perseguitati o intimoriti, come dispone la "Dichiarazione sul diritto ed il dovere degli individui, dei gruppi e delle istituzioni di promuovere e proteggere i diritti umani e le libertà fondamentali universalmente riconosciuti", approvata dall'Assemblea Generale dell'ONU il 9 dicembre di 1998. link alla notizia; traduzione da www.saharawi.org
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